Descrizione
Costo platea e palchi centrali € 12.00 | Palchi laterali € 10.00
di Luigi Pirandello
Regia Mario Pupella
Massimiliano Sciascia;
Valentino Pizzuto;
Leonardo Campanella;
Mirko Ingrassia;
Daniela Pupella;
Fabiola Arculeo;
Francesca Picciurro;
Francesco Grisafi.
La giara è una commedia in un atto unico del 1916 di Luigi Pirandello ripresa da una sua novella
composta nel 1906 e pubblicata nella raccolta Novelle per un anno nel 1917.
La storia rappresentata ripercorre con umorismo molti dei temi cari allo scrittore agrigentino, tra cui
la molteplicità dei punti di vista, l’ambiente siciliano e i conflitti interpersonali.
Si tratta di caratteristiche che ritroviamo nella rielaborazione in dialetto agrigentino operata da
Pirandello nell’ottobre del 1916 per un breve adattamento teatrale in un atto unico che venne
rappresentato per la prima volta in Roma al Teatro Nazionale il 9 luglio del 1917 dalla Compagnia di
Angelo Musco. Il pezzo ritornò sul palcoscenico a Roma in lingua italiana alcuni anni dopo (il 30
marzo del 1925, con una versione scritta presumibilmente nello stesso anno).
Don Lolò [1] Zirafa, il protagonista della vicenda, è ricco e taccagno. Vede dappertutto nemici che
vogliono depredarlo della sua roba, ed essendo di carattere litigioso, non perde occasione di citare in
giudizio i suoi presunti avversari spendendo una fortuna in liti e facendo spesso perdere la pazienza
al suo consulente legale, che non vede l’ora di toglierselo di torno.
Dopo l’acquisto di una enorme giara per conservare l’olio della nuova raccolta, accade un fatto strano:
per ragioni misteriose il grosso recipiente viene ritrovato perfettamente spaccato in due, fatto che fa
montare Zirafa su tutte le furie.
La giara potrà essere riparata da Zi’ Dima, un artigiano del posto che si vanta di avere inventato un
mastice miracoloso: ma Zirafa non si fida ed insiste affinché il conciabrocche renda più sicura la
saldatura usando anche dei punti di fil di ferro. Ciò colpisce profondamente l’artigiano nel suo
orgoglio: convinto che i suoi meriti siano sottovalutati, egli è infatti sicuro che il suo prodigioso
mastice sia più che sufficiente a fare un buon lavoro. Comunque, costretto ad obbedire al padrone ed
in preda all’ira, Zi’ Dima si mette all’interno della giara per eseguire più comodamente il suo
intervento, ma si distrae dimenticando che la giara ha un collo molto stretto. Così, terminata la
riparazione, resterà bloccato all’interno.
Ne nasce subito una lite: Zi’ Dima vuole in ogni caso essere pagato per la perfetta riparazione, mentre
Zirafa si dichiara disposto a pagarlo, ma vuole essere risarcito per il fatto che per liberarlo bisognerà
rompere la giara. Don Lolò infatti decide di pagare il conciabrocche per il suo lavoro, non per senso
di giustizia, ma per non essere in torto di fronte alla legge. Zi’ Dima non cede e, ricevuto il suo
compenso, rifiuta qualsiasi risarcimento. Non sapendo come risolvere la situazione, don Lolò si
rivolge per l’ennesima volta al suo avvocato che gli consiglia di liberare Zi’ Dima, altrimenti correrà
il rischio di essere accusato di sequestro di persona.
Il parere non riceve affatto l’approvazione di Don Lolò Zirafa, che ritiene responsabile Zi’ Dima del
fatto di essersi balordamente imprigionato nella giara che, una volta rotta per liberarlo, non potrà più
essere riparata. Il cocciuto conciabrocche, a sua volta, si rifiuta di risarcirlo affermando di essere
entrato nella giara proprio per mettere i punti che don Lolò aveva preteso: se si fosse fidato del suo
mastice miracoloso, ora avrebbe la sua giara come nuova. Piuttosto che pagare, preferisce restare
dentro la giara dove dice di trovarsi benissimo; e lì infatti passerà tranquillamente e allegramente la
notte, fra canti e balli dei contadini ai quali, servendosi proprio del denaro ricevuto da Don Lolò, ha
offerto vino e cibarie. In preda alla rabbia, per il danno e la beffa, Don Lolò Zirafa finisce per tirare
un poderoso calcio alla giara che si romperà definitivamente e Zi’ Dima, così involontariamente
liberato, avrà partita vinta.
Nella novella come nella commedia, traspare chiaramente la tematica della roba, ripresa dal Verismo
verghiano, descritta con il morboso attaccamento di Don Lolò ai beni materiali: la sua funzione nella
commedia, comunque, supera la visione del realismo verista, creando invece un effetto tragicomico.
Alla figura di Don Lolò viene contrapposta quella di Zi’ Dima, privo di poteri e risorse materiali, ma
consapevole della dignità del lavoro che egli esegue con onestà e scrupolo e che considera unico per
l’uso di quello che egli ritiene come una sorta di bene intellettuale: il suo miracoloso mastice. Nel
rapporto antitetico tra due figure completamente diverse, entrambe poco conscie dei propri limiti, ma
accomunate dalla stessa cocciutaggine contadina e mosse dai loro istinti, Pirandello riesce a creare
una comicità basata su una situazione grottesca: una circostanza nella quale ciascuno dei due diventa
al contempo debitore e creditore dell’altro.
Dato che nessuno dei due contendenti può o vuole andare incontro all’altro, si arriva ad una situazione
di stallo in cui non è più possibile distinguere chi abbia torto e chi ragione. Si tratta di un paradosso
paragonabile a quello che ritroviamo ne Il giuoco delle parti pirandelliano.